di Gianluca Perego
Alla fine della pandemia causata da Coronavirus (COVID-19) potremo ritrovarci di fronte alla necessità di rispondere a una domanda scomoda: “quanti pazienti con COVID-19 e quanti pazienti con il cancro abbiamo trattato?”.
La risposta non potrà essere data nell’immediato futuro, almeno non completamente, andrà invece snocciolata tenendo conto di ciò che abbiamo fatto e che (forse) avremmo potuto fare.
L’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) a fine marzo ha comunicato sul proprio sito (https://www.aiom.it/il-trattamento-del-tumore-in-regime-di-emergenza-covid19/) la necessità di stratificare i pazienti in base alla loro malattia e alle risorse disponibili, al fine di continuare a garantire le migliore cure possibili anche in una situazione d’emergenza. Si raccomanda dunque di limitare il più possibile visite e viaggi per secondi pareri o urgenze differibili, garantendo tuttavia, dopo valutazione caso per caso, l’accesso a trattamenti urgenti e prediligendo tutti quegli interventi ospedalieri che richiedono il minore impegno temporale.
In modo analogo si sono mosse associazioni sovranazionali come la European Society of Medical Oncology (ESMO) e i colleghi al di là dell’oceano, l’American Society of Clinical Oncology (ASCO).
Gli ospedali sono infatti da sempre un ricettacolo di patogeni, spesso resistenti alle terapie attualmente disponibili, frutto della pressione selettiva imposta dall’impiego massiccio di farmaci antibiotici o antivirali. Anche per il COVID-19 è stato confermato come l’ambiente ospedaliero possa essere fonte di trasmissione e contagio: Jing Yu e colleghi1 in un lavoro apparso su JAMA hanno infatti determinato come in un ospedale di Wuhan, su un totale di 138 pazienti oncologici transitati, il 41.3% sia stato infettato dal virus. Gli stessi autori continuano sottolineando come il tasso d’infezione registrato sia addirittura maggiore rispetto a quello dell’intera città di Wuhan nello stesso periodo, sottolineando come i pazienti affetti da patologie neoplastiche abbiano realmente un maggior rischio di contagio rispetto alla popolazione generale. Ulteriore aspetto di cui tenere conto osservando i dati è che meno della metà dei pazienti infettati si stava sottoponendo a chemioterapia, quindi più della metà degli stessi aveva acquisito l’infezione durante visite di controllo o accessi non direttamente correlati al trattamento della patologia stessa.
Stabilito il rischio correlato al trattamento chemioterapico e quindi all’ambiente in cui lo stesso viene somministrato, bisogna però considerare la fragilità di questi pazienti, ovvero l’impossibilità di considerare l’avvio o la prosecuzione di un trattamento come meno prioritario rispetto a quello di un paziente affetto da COVID-19. Questa stessa riflessione emerge dal lavoro di Vrdoljak e colleghi2 in cui si evidenzia come la necessità dettata dal contenimento del contagio, con misure quali il distanziamento sociale e la riorganizzazione delle strutture, al fine di poter accogliere il maggior numero di pazienti possibile, non debba rallentare l’accesso alle cure per i pazienti oncologici.
Allo stesso modo risulta indispensabile garantire una pronta diagnosi e/o stadiazione di un tumore: oggi l’attenzione di tutti è rivolta a segni e sintomi della patologia respiratoria causata da COVID-19, aspetto che può condurre un paziente a sottovalutare o ignorare, ad esempio, un episodio di sanguinamento intestinale o vescicale, così come una qualsiasi sintomatologia sospetta che in altre circostanze condurrebbe a un immediato consulto specialistico con successiva eventuale diagnosi.
Come se non bastasse, la comunicazione e le notizie veicolate da media e social-media possono contribuire significativamente, amplificando le conseguenze di una situazione che può essere definita “coronavirus-centrica”. L’attenzione spasmodica per le vicende collegate a COVID-19 sembra porre in secondo piano qualsiasi altra condizione sanitaria concomitante (incluso il cancro), desensibilizzando la popolazione di fronte a una patologia che rappresenta ancora ad oggi la causa principale di morte nei paesi sviluppati. Ogni mese infatti, in Europa, si registrano 352.500 nuove diagnosi di cancro3.
A tutto questo si aggiungono le scelte che i colleghi oncologi si trovano a dover prendere, spesso in completa autonomia e senza il supporto delle evidenza, soprattutto nel trattamento di quei tumori per cui il ritardo delle cure o la loro interruzione temporanea (impostando una vacanza terapeutica “forzata”) possa condurre a effetti clinici moderatamente significativi in termini di outcome: studi clinici controllati, ad esempio, hanno evidenziato come una terapia di mantenimento dopo trapianto autologo di midollo osseo nel linfoma mantellare conduca a un incremento in termini di sopravvivenza globale pari al 9%. Nella situazione attuale tuttavia è possibile e forse doveroso prendere in considerazione l’ipotesi di ritardarne o evitarne l’inizio4.
Particolare attenzione deve essere rivolta ai pazienti anziani (es. > 70 anni), la fetta di popolazione più a rischio. Le norme relative al distanziamento e all’isolamento sociale rivestono in questo caso ancor più importanza. In una situazione senza precedenti come questa, la scelta fra la necessità di intraprendere trattamenti standard (i cui dati in questa specifica popolazione risultano spesso scarsi) o adottare un atteggiamento di tipo attendistico basato su un approccio primum non nocere solleva innumerevoli questioni di tipo non solo etico5.
È pur vero che il mondo dell’oncologia non si è fatto intimorire di fronte alle difficoltà dettate dalla pandemia da COVID-19, al contrario, ha innalzato il livello di attenzione riservato ai propri pazienti, con l’obiettivo ultimo di continuare a garantire le migliori cure possibili. I pazienti con il cancro non sono e non devono essere considerati di “serie B” se confrontati a quelli affetti da COVID-19, anzi, devono essere considerati ancor di più nella loro integrità. Mai come oggi è necessario focalizzarsi sulla persona malata nella sua complessità, non solo sulla malattia.
Il grande entusiasmo e la fiducia per proseguire sulla strada intrapresa devono essere alimentati dai dati (seppur preliminari e limitati) provenienti dai primi casi di pazienti oncologici infetti, i quali pur proseguendo la chemioterapia hanno battuto il virus e domato “il grande male”. I casi presentati da Leonetti e colleghi6 sono emblematici: seppur giovani e con un buon Performance Status (PS), due pazienti affetti da carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC), portatori della mutazione di ALK/ROS1 e in trattamento con farmaci specifici quali alectinib e lorlatinib, hanno superato l’infezione da COVID-19 senza mai interrompere l’assunzione della terapia con inibitori delle tirosin-chinasi (TKIs). Tutto ciò assume ancora più significato se si considera che, seppur con una frequenza che può essere definita rara, l’assunzione di ALK-TKIs correla potenzialmente con l’insorgenza di polmoniti interstiziali iatrogene, aspetto che avvalora ancor di più il processo di diagnosi differenziale messo in campo, frutto di un’attenzione ancor maggiore per il paziente e la sua malattia.
Alla fine dell’epidemia da COVID-19 l’approccio per la cura e la prevenzione dei tumori probabilmente cambierà. Non sarà più il paziente a recarsi dalle cure, ma saranno le cure ad andare direttamente dal paziente. Infatti, alla luce dei diversi programmi di home-delivery care implementati in questo periodo di crisi, alcune delle terapie in precedenza somministrate per via infusionale in ambulatorio o day-hospital (es. vinorelbina, 5-fluorouracile o etoposide) potranno essere assunte per via orale, prevedendone la consegna direttamente al domicilio del paziente, in totale sicurezza e nei tempi prestabiliti, al fine di evitare ritardi o interruzioni nella terapia7.
Allo stesso modo il sistema delle cure potrà cambiare per quanto riguarda le terapie infusionali di farmaci chemioterapici, implementando una capillare rete di assistenza sul territorio, tale da ipotizzare un programma di home-delivery chemotherapy, progetto che in altri stati europei ha già condotto a buoni risultati8,9.
Nel contesto futuro in cui il sistema sanitario si troverà necessariamente ad agire, il farmacista ospedaliero che si occupa di oncologia (quello che vorremmo si potesse chiamare comunemente “farmacista oncologo”) potrà rivestire un ruolo di primaria importanza nel processo di veicolazione delle cure, soprattutto alla luce delle competenze specifiche che lo dovrebbero contraddistinguere per quanto riguarda aspetti inerenti l’allestimento, la conservazione, la somministrazione e lo smaltimento delle terapie oncologiche, a tutela dei pazienti e del loro stato di salute.
Al fine di continuare a garantire le migliori cure possibili è necessario proseguire sulla strada intrapresa, instancabilmente. Sì, bisogna perseverare nella lotta contro il COVID-19, ma anche continuare a garantire che cause comuni di morbilità e mortalità come il cancro siano saldamente considerate e posizionate all’interno di un sistema di cure efficiente.
1. Yu J, Ouyang W, Chua MLK, Xie C. SARS-CoV-2 Transmission in Patients With Cancer at a Tertiary Care Hospital in Wuhan, China [published online ahead of print, 2020 Mar 25]. JAMA Oncol. 2020;e200980. doi:10.1001/jamaoncol.2020.0980
2. Vrdoljak E, Sullivan R, Lawler M, Cancer and COVID-19; how do we manage cancer optimally through a public health crisis?, European Journal of Cancer, https://doi.org/10.1016/j.ejca.2020.04.001.
3. https://gco.iarc.fr/today/home (Accesso nell’aprile 2020)
4. Schrag D, Hershman DL, Basch E. Oncology Practice During the COVID-19 Pandemic [published online ahead of print, 2020 Apr 13]. JAMA. 2020;10.1001/jama.2020.6236. doi:10.1001/jama.2020.6236
5. Mourey L, Falandry C, de Decker L, et al. Taking care of older patients with cancer in the context of COVID-19 pandemic [published online ahead of print, 2020 Apr 14]. Lancet Oncol. 2020;S1470-2045(20)30229-1. doi:10.1016/S1470-2045(20)30229-1
6. Leonetti A, Facchinetti F, Zielli T, Brianti E, Tiseo M. COVID-19 in lung cancer patients receiving ALK/ROS1 inhibitors. European Journal of Cancer. https://doi.org/10.1016/j.ejca.2020.04.004
7. Wang Z, Wang J, He J. Active and Effective Measures for the Care of Patients With Cancer During the COVID-19 Spread in China [published online ahead of print, 2020 Apr 1]. JAMA Oncol. 2020;10.1001/jamaoncol.2020.1198. doi:10.1001/jamaoncol.2020.1198
8. Polinski JM, Kowal MK, Gagnon M, et al. Home infusion: safe, clinically effective, patient preferred, and cost saving. Healthcare 2017. 5: 68-80
9. Larsen FO, Christiansen AB, Rishoj A, et al. Safety and feasibility of home-based chemotherapy. Dan Med J 2018. 65(5): A5482